Alcuni aspetti della direzione negativa dell’energia mentale: tendenza a ragionamenti futili, criticismo, insensibilità verso i sentimenti altrui, credersi indispensabile.
Soluzione: coltivare il senso di responsabilità individuale e di gruppo, umiltà, innocuità.
Gli aspetti negativi messi in evidenza, e tutti gli altri non menzionati, vengono gradatamente riconosciuti dal discepolo impegnato in una sådhanå autorealizzativa. Con sorpresa, a volte con disperazione, diventiamo consapevoli dell’abisso di incompiutezze in cui siamo stati capaci di metterci: veri demiurghi! direbbe Platone; alla rovescia! potremmo aggiungere noi.
Tutte queste manifestazioni energetiche negative ci guardano dritte negli occhi, ci sfidano giorno dopo giorno, richiedono alimento; sono nostre "creature", movenze di qualità (guna) che hanno una loro forza e persistenza, capaci di tenerci in scacco per lungo tempo.
Fare buoni proponimenti (mentali) al fine di modificarle serve a poco, non è questione di proporselo, occorre anche attivare un’efficace controforza. Questa dev’essere tale da bloccare non solo le movenze negative ma anche di rivolgerle al positivo; infatti si tratta di energia e come tale è impersonale: lasciata a se stessa ci può condurre nel conflitto, opportunamente direzionata ci può sollevare, liberare. Sankara dice che la mente ci ha portato nella schiavitù ma la stessa diventa strumento di liberazione quando sia stata purificata dal tamas e dal rajas.
Ora, sappiamo per esperienza che un guna è una forza della natura nel vero senso della parola (è prakrti-natura-sostanza) e della natura ha tutta l’irruenza, la "innocenza", la ciclicità, la potenza creatrice e distruttrice. Il rajas di un vulcano in eruzione è incontenibile (e sappiamo che un’eruzione vulcanica è un modesto movimento terrestre); il tamas di una montagna è praticamente inamovibile. Queste due forze gemelle (e il sattva che rappresenta il ritmo, il moto equilibrato) sono gli elementi base anche della nostra individualità. Come sperare di modificarli solo con le buone intenzioni?
La Tradizione per il tramite dei Maestri ci ha dato molte possibilità e mezzi che sono stati sperimentati e hanno funzionato. L’unica cosa che si richiede è di sperimentarli noi stessi. Ma sappiamo che, malgrado i proponimenti di procedere con la sperimentazione, tamas e rajas hanno gioco facile, possono farci cadere quando e dove vogliono.
Qui deve entrare in gioco tutto il nostro patrimonio psicofisico: intelligenza, volontà, comprensione, duttilità e psicologia. Sperimentare deve diventare la nostra parola d’ordine. Così, se riteniamo che "coltivare il senso di responsabilità individuale e di gruppo" possa indurre in noi un permanente cambiamento nel nostro modo di agire, pensare, parlare, ebbene dovremmo darci da fare in questa direzione penetrando il significato dell’indicazione, scoprendo i passi che è necessario fare e le qualità da coltivare per arrivare a vivere quel mezzo.
Certo, scrivere ogni giorno la frase, oppure memorizzarla e ripetersela senza comprensione, non serve; occorre invece meditarla, portarla nel cuore, aggrapparsi a essa, chiederle di darci una "risposta" che valga a illuminarci. E questo va fatto soprattutto nei momenti di maggiore pace, quando i guna sono (apparentemente) tranquilli e c’è più opportunità di interiorizzarsi, di ascoltare la voce del cuore. Questi sono i momenti che occorre sfruttare in pieno per questo tipo di lavoro. Sono importanti anche certi periodi dell’anno. C’è una frase alchemica che recita: imita la natura. La natura opera con gradualità e con persistenza osservando dei ritmi e cicli ben precisi.
In ultima analisi, non importa in quale degli aspetti negativi dell’energia mentale (e delle altre) ci siamo riconosciuti, tanto vale ammettere di averli tutti e non sbaglieremo certo. L’importante è sperimentare con i mezzi che abbiamo a disposizione, e sono tanti. Se lo faremo, altre possibilità ci si dischiuderanno, una delle quali è di un valore inestimabile ed è insostituibile: il dialogo con il Maestro.
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