SARVA-VEDANTA-SIDDHANTA-SARASANGRAHA
(Continua dal numero di Novembre 1988)
575. Consideriamo ora un vaso; in principio esso non esiste, poiché nasce all'esistenza nel momento in cui viene prodotto dall'argilla; né si può affermare che esso è sempre stato potenzialmente e si è reso manifesto in un dato istante; ciò infatti sarebbe contrario alla ragione.
576. Così si sostiene che l'esistenza deriva dalla non esistenza e che, perciò, da qualunque prospettiva ci si ponga, il vero atman non è che il Vuoto-Sunya.
577. Da tutto questo si può osservare che le teorie qui esposte e coloro che le sostengono sono in reciproca contraddizione inoltre, emerge il fatto che ogni punto di vista(darsana) trae origine da una particolare affermazione della Sruti, non avvedendosi che il proprio fondamento è un semplice frammento (della conoscenza Tradizionale e non la sintesi propria di una visione universale).
578. Ogni corrente è osteggiata e confutata da tutte le altre; ogni corrente si richiama alla Sruti in modo erroneo, parziale, arbitrario ed empirico.
579. Così sono state esposte le varie teorie inerenti alla natura dell'Atman; tuttavia, nessuna di esse è esente dalla critica della ragione, dalla contraddizione interna e dall'opposizione alle altre. Così è della teoria per cui l'atman è da ricercarsi nelfiglio, o nel Vuoto, ecc.; tutte queste sono state confutate dalla ragione, dall'esperienza, dalla discriminazione, e non hanno il sostegno della Sruti poiché ne sono soltanto una parziale ed errata interpretazione.
580. Tutte queste teorie, da quella dell'identificazione dell'atman con il proprio figlio a quella del Vuoto, sono state dai Saggi confutate come erronee, infatti non sono accettabili se non quelle teorie fondate su validi mezzi di conoscenza (pramana).
Ciò che è confutabile in base all'esperienza, alla ragione, all'intuizione superiore non può costituire oggetto di indagine o, quantomeno, di stimolo e sprone per colui la cui unica meta è la ricerca della Realtà, dell'Assoluto, del Sé.
Questi, veramente, non è di là dall'Essere, perciò è della medesima natura diciò che ricerca, che è la sua propria essenza; l'ente, in quanto espressione dell'Essere, ha già in sé la Conoscenza e la Verità, poiché nel profondo del suo Cuore risplende sempre la sottile e infinita luce del Sé.
Il ricercatore della Verità è colui che si è elevato al di sopra del mero aspetto formale della manifestazione; egli non la osserva più come semplice rappresentazione formale ma come compendio simbolico universale.
Il ricercatore, quindi, opera con il Simbolo, nel Simbolo e tramite il Simbolo; egli ha dischiuso le porte formali dietro le quali si estende l'infinità della Realtà. egli è un "esploratore", nel senso che "scopre" gli stessi Simboli in ciò che, prima, non era altro che raffigurazione o forma in senso lato; egli stesso, inoltre, promuove e attua la propria profonda rivoluzione psicologica e mentale in generale, con la trasformazione della propria coscienza a seguito della penetrazione del Simbolo; ancora, egli è il proprio risolutore, poiché ha già "in mano" la propria soluzione: la sua vera essenza che si svela nello stesso vivere il Simbolo.
Il primo passo iniziatico da compiere è quello di riconoscere se stessi quale espressione simbolica dell'Assoluto che è in noi, oltre la semplice e inerte formalità e corporeità, e vivere tale "nuova" realtà nel semplice non-ostruimento della propria luce interiore; l'Essere, infatti, non può che "irraggiare" se stesso.
Non indagine analitica, dunque, la quale mira a identificare forme con altre forme, bensì abbraccio sintetico della totalità in sé, il quale volge alla comprensione della suprema Identità.
La ricerca mentale investigativa, analitica, ecc. conduce all'identificazione, e questa non è che sovrapposizione di rappresentazioni mentali in genere e formali in ispecie; non investe l'essenza delle cose perché questa è oltre il dominio della rappresentazione, ma permane nell'ambito della conoscenza inferiore, sensoriale, raffigurativa e concettuale che, per sua natura, è parziale: costituisce, dunque, l'attingimento di gradi di verità, o verità parziali.
La forma in genere viene prodotta; in sé non esiste se non l'unica sostanza, in riferimento ai vari livelli.
La rappresentazione è ri-produzione della forma, cioè ripetizione del processo di produzione a partire dalla sostanza. li dominio della forma, perciò, non può prescindere dalla conoscenza della sostanza, ed è questa che, semmai, deve plasmarsi ed è su questa che si opera. Più profondo è il livello di operazione, più profondi e radicali sono gli effetti stilla corrispondente sostanza.
Tornando alla rappresentazione, si può dire che rappresentare è ripetere una presenza formale determinata, morta. La vita comune, nella schiavitù dei legami terreni, è vivere di rappresentazioni formali epperciò tiri controsenso; la vita, infatti, non può alimentarsi con forme in sé morte, né si può trarre impulso vitale dal cadavere, dal corrotto, dalla putrefazione intellettiva, dalla cenere o da ciò che, per sua natura, è passivo e secondario, esteriore e vuoto. Vivere in tal modo è illudersi della vita, è credere di vivere e di morire, perché v'è la constatazione della vita e la certezza della morte; è conformità al samsara e rassegnazione al dolore.
Invece, la Comprensione Integrale è Sintesi; questa non riguarda solo la totalità degli oggetti, ma anche lo stesso soggetto ed il mutuo rapporto tra essi; perciò conduce verso l'Identità. L'Identità è Conoscenza reale, non è sovrapposizione ma realizzazione del puro Essere nell'affioramento della propria natura ed essenza. La Sintesi è trascendenza dell'aspetto formale, in sé esclusivo e separatore, e riconoscimento della Realtà nell'Unità della Vita; è scoperta, penetrazione e attuazione del Simbolo che rappresentiamo, e questo è fonte di Vita inesauribile perché è Verità oltre l'oggettivazione.
Il Discepolo domanda:
581. Nello stato di sonno profondo ogni cosa si riassorbe nella sua causa, perciò non v'è altra esperienza oltre quella del Vuoto. In base a quale motivazione si può asserire che l'atman non sia il Vuoto-Sunya se non c'è esperienza di altra realtà oltre questo?
582. (Se esso differisce dal Vuoto) qua] è la reale natura dell' atman? Se I' atman è la Realtà, allora perché non lo si conosce direttamente? In base a che cosa si dimostra l'esistenza dell'atman (differente dal Vuoto) nello stato di sonno profondo? In base a cos'altro si sostiene ch'esso sussisto al dissolversi dell'individualità?
583. Onorato Maestro, la mia mente è assillata dal dubbio e aspira ardentemente alla dissipazione di tale incertezza con l'ausilio della Vostra illuminazione e ]'aiuto della folgore dell'intelletto discriminante.
L 'Istruttore risponde:
584. La sottigliezza delle tue istanze dimostra l'acume e la trasparenza della tua mente; simili interrogativi possono presentarsi, in verità, soltanto a coloro che sono così dotati.
585. Ascolta con fede e completa disponibilità poiché ogni questione sarà affrontata e risolta, in modo che anche gli altri che aspirano alla Liberazione possano così arrivare a conoscere questa sottile e segreta Verità.
Critica e confutazione della teoria del Vuoto
586. Nello stato di sonno profondo, la coscienza con i suoi veicoli, come l'intelletto, ecc., si ritrae nella propria causa e tutto (cioè il conoscente, la conoscenza e il conosciuto) si riassorbe nel Non-formale; così, l'ente (in tale stato) non è soggetto a mutamento o modificazione e permane nella maya in variato come l'albero "banyan" nel proprio seme.
Lo stato causale dell'essere è l'origine della maya quale produzione formale e manifestazione del Non-formale e Immanifesto.
La maya in quanto manifestazione formale, è non-Reale ma viene proiettata e sovrapposta all'atman nel momento in cui l'essere si determina nel nome e nella forma. Tuttavia, tale sovrapposizione continua a rimanere non-Reale perché nome e forma e, quindi, l'ente individuato, non è che modificazione, mentre l'atman è pura coscienza immodificata.
L'illusione della maya perciò, trae origine dall'apparente dualità insita nella "varietà dell'unità" che è l'essenza stessa del piano causale dell'essere. In questo piano l'ente non è determinato in nome e forma poiché la "varietà" in sé non è ancora effettiva molteplicità; quest'ultima, si può dire, è allo stato potenziale, perciò virtuale e latente.
La manifestazione stessa, al termine del ciclo cosmico, si riassorbe nello stato causale, nel quale sono contenute tutte le possibilità e determinazioni allo stato germinale ma non, per questo, diverse o mutate rispetto all'effetto determinato. Allo stesso modo l'ente, la cui coscienza riposa nello stato causale, viene riassorbito - in quanto nome e forma determinati e particolari - nella propria totalità di possibilità di manifestazione e determinazione, senza nulla perdere rispetto alle stesse.
Come un'intera pianta di banyan è contenuta nel seme, con tutte le proprie caratteristiche morfologiche e vitali, così l'essere, nel sonno profondo, è riassorbito nel proprio seme causale, che lo contiene immutato, unitamente a tutte le altre sue possibilità di manifestazione ed espressione; tale molteplicità formale è, dunque, contenuta in modo virtuale nella "varietà dell'unità" del seme causale dell'ente. Inoltre, retrocedendo allo stato potenziale e immanifesto qualsiasi determinazione, non v'è, in quello stato, attualità alcuna di modificazione, epperciò nemmeno la distinzione tra veggente, visto e visione o conoscenza, essendo l'unica esperienza, se così si può dire, quella del vuoto.
Come l'albero è interamente contenuto nel seme pur essendo in esso immanifesto e quindi indistinto né modificato, così l'ente, nel SUO proprio stato causale, è interamente contenuto nel suo seme nella maya ove è virtuale, e non manifesta la stessa sua (illusoria e proiettata) distinzione (e contrapposizione) tra soggetto conoscente, conoscenza e oggetto conosciuto, dal che deriva l'apparente esperienza che, osservata e giudicata dallo stato di veglia, viene definita come vuoto. Questo dunque non è altro che il risultato dell'affrettata ed erronea interpretazione di uno stato (superiore) alla luce e dalla posizione coscienziale di un altro (inferiore), mentre tra di essi, in realtà, non vi può essere la benché minima commensurabilità, similitudine ecc., essendo questi diversi stati dell'essere.
587. Come l'albero "banyan" è prima un seme, poi un germoglio, ecc., così l'universo stesso, nella totalità della manifestazione, deriva dalla stia causa e non può mai essere identificato con il vuoto.
588. Secondo la Sruti, infatti, Il mondo manifesto e formale non differisce (nell'essenza) dall'Informale, anzi origina dall'Informale e nell'Informale ritorna; esso, in verità è sempre Uno con l'Informale, nel quale si riassorbe nel (lo stato di) sonno profondo.
Il mondo formale è solo la determinazione, nel nome e nella forma, di ciò che, per sua natura, è indeterminato ed informale. E' questa stessa Essenza che si rivela nella manifestazione con la creazione degli universi e con la loro dissoluzione al termine dei rispettivi cicli; ed è ancora in questa Essenza, determinabile nel nome e nella forma - benché di per sé indeterminata ed assoluta che l'ente stesso si riassorbe nello stato di sonno profondo.
Né tale Essenza può rifiutarsi, poiché il Vuoto stesso non sarebbe determinabile in nome e forma se la realtà ch'esso rappresenta non fosse indipendente da tale determinazione.
E' un grave e profondo misconoscimento il ritenerlo come la base della manifestazione e l'Essenza stessa dell'essere, poiché si verrebbe a identificare la realtà con tino dei suoi infiniti aspetti parziali.
L'unica giustificazione al termine Vuoto è d'ordine "letterario", nel senso che esso sta a significare ed esprimere l'impossibilità della definizione della Realtà stessa, e così costituisce soltanto un appellativo per via negationis, la Realtà trascendendo la forma-parola; ma, allora, molte delle dottrine che su esso si basano avrebbero frainteso e male interpretato la loro propria sostanza e base.
589. Coloro secondo i quali la Sruti afferma che l'origine dell'universo è (da ricercarsi) nel Vuoto non fanno che interpretare in modo del tutto erroneo, e senza alcun sostegno da parte della ragione, ciò che la stessa Sruti dice, la Verità ch'essa rivela e che costoro non possono realizzare.
"In principio tutto questo Universo era Non-Essere; da Esso, successivamente (in senso ontologico), venne ad originarsi l'Essere e, quindi, il Sé-atman; così si denomina "ben fatto" (malaria), ed Esso è, invero, l'Essenza. Perciò, quando si conosce e si realizza l'Essenza, si consegue anche la Beatitudine. Chi, altrimenti, potrebbe vivere se tutto ciò non fosse pervaso dalla pura e assoluta Beatitudine? La (conoscenza in sé dell') Essenza concede la suprema Beatitudine; Colui il quale così conosce distrugge ogni timore, realizza la vera "stabilità", la base del visibile e dell'invisibile, consegue l'Ineffabile, l'Incausato, l'Immodificato. In ciò è la suprema Pace. Quando, invece, (in tale pura Essenza immodificata) si crea differenziazione, si origina, dalla "misura", la distinzione e allora nasce il timore, la paura di colui che non conosce l'Infinito Sé."
(Taíttiriya Upanisad 11, VII, 1)
L'affermazione dell'Upanisad sembra, infatti, contraddire una precedente asserzione (Chandogya VI, 11, 1 - commento al sutra 574), ma la contrapposizione, come viene anche spiegato, è soltanto apparente.
Per maggiore chiarimento si dà ancora questo quadro:
Non-Essere: in quanto Essere uno-senza-secondo non qualificato e non determinato (nirguna)
Essere: prima determinazione qualificata allo stato virtuale-causale (saguna)
Manifestazione: sottile e grossolana dell'Essere. Molteplicità formale oggettiva.
Il Non-Essere Assoluto in quanto nirguna trascende sia la manifestazione formale dell'Essere (Essere manifestato), sia lo stesso Essere, quale determinazione e qualificazione primordiale allo stato ancora non-manifesto (avyakta).
590. L'Essere non può originarsi dal non-essere, né si è mai conosciuto che ciò sia accaduto, come i fiori sbocciare nell'aria o le corna crescere ad una lepre
591. Se non esistesse l'argilla nessun vaso potrebbe prodursi dal nulla; se, invece, ciò fosse possibile, si provi a produrre un vaso dalla sabbia o dall'acqua; ogni oggetto può (prodursi da sé) riassorbirsi e divenire una sola cosa soltanto con la "sostanza" da cui è costituito.
592. Se, viceversa, ogni prodotto formale non potesse riassorbirsi nella "sostanza" che lo generò fino a divenire una sola cosa con essa, il principio di causalità non esisterebbe e nemmeno l'universo (che su esso si fonda e da esso è governato); in tali condizioni le caratteristiche proprie della causa e dell'effetto (in quanto tali) verrebbero a scomparire mentre esse sono conosciute in base agli Sastra e accettate dalla (facoltà di ragionamento della) gente.
L'universo, quale totalità della manifestazione, è un insieme di prodotti formali. Tali prodotti od oggetti sono definiti formali in quanto la loro peculiare e particolare esistenza è in funzione dell'"attimo" di vita della loro stessa forma che li caratterizza. La forma in genere è destinata perciò a morire trasformandosi e oggettivandosi in altra modalità; cioè deve svilupparsi avendo in sé il "germe" della trasformazione, del mutamento e, sotto certi aspetti, della distruzione.
Forma è, dunque, un aspetto transitorio dell'essenza reale dell'ente; l'ente, in quanto forma, è anch'esso un aspetto impermanente degli infiniti "momenti coscienziali" dell'Ente Supremo. Così il dire "forma in sé" è semplicemente un nonsenso perché la forma è solo un aspetto-attributo non separabile da ciò cui è associato, privo cioè di vita propria, ma fondato sulla realtà informale di ciò che rende manifesto. La forma implica la trasformazione, il mutamento, il divenire; l'essenza è assolutezza, invariabilità, Essere.
Il mondo formale non è che lo sviluppo manifesto e concreto, quindi nell'espressione quantitativa e numerica, del seme causale dell'Essere, che è di per sé informale e immanifesto. Anche la coscienza singola e separata di ogni ente rientra, al termine del proprio ciclo, nel proprio seme causale. Dato che nello stato causale è contenuta in embrione tutta la manifestazione, non si può dire che esso sia il nulla, il vuoto; tutt'al più esso, come tale, appare solo se in riferimento ad un particolare tipo di esperienza.
La forma, benché in continuo cambiamento ed evoluzione, non può sussistere senza il sostegno dell'Essere, rispetto al quale, appunto, appare come modificazione, mutamento, divenire. Il relativo-formale è tale se considerato dal l'Assoluto-informale, e questo non può essere il nulla, poiché sulla base del vuoto il relativo stesso non può sostenersi.
L'Assoluto, sebbene possa venir indicato soltanto con negazioni, non è il vuoto, non è una realtà negativa: questa sarebbe una contraddizione in termini.
L'Assoluto è Realtà positiva, è il puro Essere, è l'Essere di ogni essere; è la Realtà universale che anima ogni vita ed ogni forma, è l'Eterno Fine verso cui tende ogni "evoluzione" ed il Sostrato su cui poggia ogni trasformazione.
La Via che ad Esso conduce non è via di spostamento né di accumulo; non è via filosofica manasica o religiosa, né percorso o cammino che possa misurarsi a tappe o gradi, ecc. Tale cammino è fuori del tempo, oltre la forma, esente da qualsiasi causalità; è sentiero oltre l'orizzonte, è salita in verticale diretta e non verso direzioni finite, "orizzontali"; percorrere tale sentiero, il sentiero del perfetto Equilibrio dell'Essere ch'è più sottile del filo d'un rasoio, è trovarsi già nella nata, ritrovarsi Uno con essa e veder di colpo scomparire il luogo stesso donde si proveniva. Questo cammino, difficile a definirsi in parole, ancor più difficile da seguire, è impossibile a determinarsi poiché inizia dove gli altri terminano; il suo "supporto" è la totale mancanza di supporti, la sua "relazione" è con nient'altro che con se stesso; la Via è la nata,
L'Assoluto è in noi; l'Assoluto, l'Infinito è la nostra Reale natura, è quella stessa Luce da cui siamo attratti e verso cui tendiamo, ed è la medesima indescrivibile Luce che traspare e diffonde dalla consapevolezza d'Essere di ogni essere.
Il risveglio spirituale ad altro non tende che a dissolvere le nuvole e le tenebre (formali) che si frappongono a tale Luce e che la oscurano; il Realizzato è, perciò, colui che ha dissolto tali schermi, ed in cui la Luce della Coscienza splende senza rifrazioni.
Risveglio è irraggiamento puro, è essere quella Luce, è diffusione spontanea e onnicomprensiva di tale Luce di "Conoscenza, Amore, Verità", e tutto questo è consapevolezza dell'Essere, e non del vuoto.
Il vuoto è solo l'"immagine" della negazione dell'essere; ma come può, ciò che non è, negare se stesso?
Donde attinge sia la consapevolezza che la forza? Il vuoto ipotizzato a base dell'essere non è che rappresentazione mentale e, quindi, formale; benché appaia strano, è più facile creare e proiettare l'immagine del vuoto e del silenzio che contemplare realmente ciò, e questo significa ricadere nella sovrapposizione, nella contrapposizione e nel conflitto. Perciò il vuoto, quale "immagine sovrapposta" è "oggetto" e immagine da eliminare e dissolvere.
Se, ancora, la Via all'Essere è Via di negazione, tutto dobbiamo rigettare fuorché, naturalmente, l'Essere, che è la nostra esistenza (Sat), la nostra Coscienza (Cit), e la Beatitudine (Ananda) la cui immagine, oggettivata nella proiezione del bene e, a livelli inferiori, del piacere, è la forza di attrazione e repulsione che anima ogni nostra azione e ricerca; perciò, al completo dissolvimento del nome e della forma, sia anche quella del "vuoto", non rimane altro che l'eterna Pienezza del Saccidananda Incausato e Informale, cioè la nostra più profonda e pura Essenza.
593. La Sruti domanda: "Come può l'Essere venire dal non-essere?", ed in ciò vuole significare che questo non può accadere; così, quando afferma: "in principio era il non-essere", con tale termine essa non indica il vuoto, bensì il Non-manifesto o Informale (o Non-Essere nirguna).
L'essere è l'ente individuato e separato; il Non-Essere, perciò, è il puro ed assoluto Essere, sostrato di ogni esistenza e fonte dell'universo informale e formale quale manifestazione esteriore.
L'essere quale ente singolo origina dal Non-Essere quale assoluto Essere, ed in Esso tende a dissolversi al termine del suo totale risveglio nell'ambito del dominio formale e per mezzo dell'espressione formale.
Così, l'affermazione della Sruti pone l'essere-ente in un piano secondario rispetto a quello d'origine: l'essere qualificato, infatti, è frutto di separazione e di analisi, ma la propria coscienza è portata, prima o poi, a evadere dalle false costrizioni-fissazioni formali individuali, e a risolversi in quella che ne è la vera origine, cioè in Se stessa.
Così l'ente si dissolve nel Non-Essere perché trascende e comprende l'ente-essere individuato, e non perché si perde nel vuoto. Se l'Essere fosse il vuoto, come potrebbe questo "qualificarsi" variamente ed esserne, ad un tempo, consapevole?
594. Nello stato di sonno profondo la coscienza dell'essere si ritrae nella propria causa, dove è conosciuta come prajna ed è illuminata dall'atman stesso; perciò (il vuoto sperimentato in) prajna non è da confondersi con l'assenza di coscienza: neanche uno stolto, infatti, potrebbe identificare la propria coscienza con il vuoto.
595. Se anche si dovesse affermare che nel sonno profondo non esiste altro che il vuoto, occorre innanzitutto domandarsi qua] è il soggetto che conosce ciò e, poi, quale sia il processo conoscitivo grazie a cui abbia potuto attingere tale conclusione e, per chi se ne fa promotore, in qual modo egli stesso sia arrivato a tale conoscenza.
596. Costui non potrebbe, veramente, dare alcuna risposta logica a giustificazione di un atteggiamento mentale (così) incoerente, primo perché (nel sonno profondo) non v'è possibilità di testimonianza diretta (mancando la dualità soggetto-oggetto), secondo perché v'è la grossa contraddizione scaturente dal fatto che non si può testimoniare, dimostrare o confutare l'esistenza del vuoto se in esso non persiste l'eterno testimone che è l'atman.
L'affermazione che nel sonno profondo esista solamente il vuoto e che esso sia la reale natura di ogni cosa è in se stessa autocontradditoria. Se riteniamo tale conoscenza valida e, quindi, ottenuta con mezzi appropriati, v'ha da essere considerato anche quel soggetto, diverso dal vuoto, che ne testimonia l'unicità d'esistenza; e questo è assurdo.
Se non si ammette che anche nel vuoto apparente del sonno profondo vi permanga un principio di coscienza da cui lo stesso stato è conosciuto, si cade necessariamente in una serie circolare e, perciò, infinita di contraddizioni; mentre le spiegazioni contrarie altro non sono che forzature e arbitrarietà assurte al rango di "verità in sé".
597. Inoltre, indagando dallo stato di veglia sulla propria esperienza" nel sonno profondo, non si trova nemmeno la conoscenza" dell'Informale, poiché la propria coscienza è (nel sonno profondo) completamente assorbita in esso, e con esso una cosa sola; per questo tale stato è scambiato con il vuoto.
In prajna ogni forma rientra nel proprio seme causale; ogni proiezione è forma, e così pure ogni sovrapposizione. Pertanto, in prajna il proiettato si fonde nella proiezione e l'atto del proiettare ritorna alla potenza, cioè l'attualità rientra nella virtualità.
La conoscenza empirica, immaginativa, percettiva ha luogo quando v'è contrapposizione tra il soggetto e l'oggetto; questa contrapposizione è dualità e, volta per volta, polarità: soggetto ed oggetto sono i due poli opposti e necessari l'un l'altro onde mantenere l'equilibrio (dinamico) stesso che li tiene in vita. La conoscenza è il filo che li lega, è il mutuo rapporto di polarità e, perciò, è esperienza di dualità e, per ultimo, della concretezza, del positivo, della materialità.
Sia nella veglia che nel sogno permane tale polarità tra soggetto conoscente e sperimentatore ed oggetto proiettato nella mente; tra i due non v'è differenza sostanziale poiché nell'un caso e nell'altro l'oggetto è, comunque, proiezione e sovrapposizione; ciò che varia è il tempo di intervallo tra la percezione (che è anch'essa proiezione, diremmo indotta) e la effettiva creazione mentale; perciò in tali stati v'è la conoscenza testé descritta.
Nel sonno profondo il soggetto e l'oggetto sono fusi insieme, assorbiti nella causa d'origine a loro comune che è la facoltà proiettiva della mente, perciò la conoscenza duale non ha luogo. La coscienza non è modificata dalla dualità ma permane nello stato immodificato -causale in cui, cioè, gli effetti ancora non hanno "luogo" e, con essi, le determinazioni e le forme.
Perciò, oltre l'ambito di possibilità della conoscenza duale, rimane la coscienza assorbita nell'Uno Principiale (e nel quale la Varietà è immanifesta), l'autocoscienza del Testimone, l'Immanifesto, che è di là dalla forma; quindi non v'è alcun rapporto con ciò che ha soltanto esistenza formale, quale la memoria empirica individuata.
598. L'Atman è l'Invariante, è il Soggetto che permane (nello stato di sonno profondo) e che conosce l'assenza dell'intelletto nel sonno profondo; perciò Esso conosce direttamente la natura dell'"esperienza" nel sonno profondo, in cui nulla rimane all'infuori dell'atman stesso: quindi l'atman non si può considerare come un oggetto di conoscenza.
Non si può conoscere l'atman, non si può prenderlo come oggetto di conoscenza in nessuno dei tre stati determinati di veglia, sogno e sonno profondo. Nei primi due, infatti, il soggetto conoscente è l'autocoscienza dell'ente individuato, che non è altro che il "senso dell'io": è ad essa che si riferisce la percezione, l'esperienza e la conoscenza in genere. Data la peculiarità del soggetto, la realtà dell'atman gli rimane inaccessibile: ciò ch'è limitato, infatti, non può attingere l'Illimitato, il finito non può comprendere l'Infinito.
Il soggetto-io può solo comprendere ciò che esso stesso crea e proietta, e tale conoscenza non esula dai suoi ristretti ed angusti confini. D'altro canto, la conoscenza comune implica un rapporto di polarità tra soggetto ed oggetto; ebbene, quale soggetto potrebbe essere polarmente contrapposto all'infinito atman ? Se l'atman è infinito e, perciò, onnicomprensivo, qualunque soggetto, per quanto esteso, ne farebbe parte comunque, non differendone nell'essenza. Perciò la conoscenza duale, cioè il rapporto polare soggetto -oggetto, non permette di cogliere la Realtà ultima ma solo aspetti parziali della verità.
Se il finito non può comprendere l'infinito, occorre che esso si porti, si tramuti e si perda nella stessa natura dell'infinito.
La conoscenza dell'atman, esulando dalla dualità, implica la trasfigurazione del soggetto; l'unico reale Soggetto è l'atman stesso, qualunque altro è, in rapporto ad esso, un semplice oggetto-modificazione. La presa di consapevolezza di ciò porta a dissolvere i confini individuali del soggetto ed all'espansione della coscienza nel Soggetto nell'atman.
Così la conoscenza dell'atman è Coscienza del Soggetto-Testimone, Immutabile ed Assoluto, perseguita tramite l'espansione dell'essere, l'inclusione degli estremi duali (reintegrazione delle polarità nell'Unità), la comprensione . Quest'ultima implica la trasmutazione del soggetto-oggetto, cioè dell'ente individuato (che è, ad un tempo, Soggetto rispetto al proprio relativo mondo di esperienza ed oggetto rispetto all'Assoluto), nel Soggetto reale.
Comprendere è, dunque, abbracciare la Realtà quale È e quale noi stessi siamo.
La conoscenza empirica è identificazione del soggetto nelle molteplici forme-oggetto; conoscere empiricamente è rappresentare formalmente.
La Comprensione è Identità di soggetto ed oggetto nella Sintesi di Conoscenza; Comprendere e Conoscere è Essere, perché Comprendere significa scoprire e vivere l'Unità di vita comune a soggetto e oggetto.
La conoscenza rappresentativa, comunque, può anche adeguarsi alle varie modalità prospettate nello yoga classico quali la concentrazione (dharana), la meditazione (dhyana), la contemplazione (samadhi); ma queste non sono che diverse modalità di espressione del soggetto. È ancora e sempre individuale contrapposto all'oggetto-forma. Perciò tale conoscenza è duale, è rapporto di polarità, è permanenza nell'essere (individuato).
La Comprensione realizza l'Essere tramite il. superamento, la trascendenza e la sintesi dei singoli momenti coscienziali di attenzione, concentrazione, meditazione, contemplazione. La Comprensione è astrazione dall'essere (pratyaharasca); è attenzione dell'essere verso l'Essere, e l'attenzione implica osservazione distaccata, vigilanza, unidirezionalità coscienziale verso l'Alto; la consapevolezza dell'essere è assorbita in un moto spontaneo e generale convettivo verso l'Alto e l'ente, nell'unica direttiva di maturare la propria comprensione, non ha altro compito e dovere che quello di recidere i vincoli ed abbandonare i pesi (masse inerziali) che lo trattengono a terra.
Comprensione è Concentrazione del soggetto nell'oggetto, ovvero autoconcentrazione di sé nel Soggetto reale, gradatamente dissolvendo qualsiasi distrazione, modificazione, sollecitazione.
La Comprensione è la reale Sintesi del soggetto e dell'oggetto (cioè il soggetto-ente) nell'ininterrotto, invariabile, costante permanere della Coscienza nella meditazione.
Comprensione è, infine, Contemplazione dell'Essere; è la rinuncia al soggetto particolare per quello universale, è distacco (vairagya) dal non-Reale, dissoluzione dell'apparenza (pralaya), Identità col Reale (samadhi).
Io sono questo: individualità, essere formale. Effetto.
Io sono: trascendenza dell'individuo, del non-essere. Persona. Causa.
(lo sono) Quello: integrazione nell'Essere. Incausato.
Quello è Coscienza del Sé
(Continua nel numero successivo)
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