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Vero è che l'anima, allorché l'oggetto è stato unificato da essa mediante appropriazione e si è pur, nondimeno, determinato in se stesso, lo enuncia e lo ha lì pronto, a portata di mano: gli è che lo possedeva di già, nativamente, ed ora lo riconquista con l'apprendimento ...

Invece, negli uomini di azione, l'anima fa corrispondere ciò che ha in sé alle cose esteriori. Ella, anzi, in virtù di questo suo intenso possesso, è più tranquilla della natura; e poiché possiede in più grande pienezza, è maggiormente incline alla contemplazione; ma poiché tale possesso non è, in lei, perfetto, così ella è sempre più bramosa di dominare l'oggetto contemplato mediante la piena scienza e quella contemplazione ch'è frutto di ricerca. Ma anche se lascia, così, se stessa ed entra nella diversità del divenire, per risalire, poi, di bel nuovo, in alto, ella contempla per sempre con quella sua parte che lasciò indietro. Al contrario, l'anima che se ne sta, ferma, in se stessa, crea questo suo oggetto in misura ben minore. Perciò il saggio è ormai tutto penetrato di ragione; e ciò che è in lui solo relativamente agli altri egli mette in luce; ma in se stesso, egli non è che "visione". Oramai, cioè, questi procede verso l'Uno e verso ciò che è silenzio, non soltanto da parte delle cose esteriori, ma ancora relativamente a lui stesso; e tutto è in lui.

VII. Che tutto, dunque, derivi da contemplazione e sia contemplazione - tanto gli esseri reali come quelli che nascono in virtù di un loro contemplare - e siano pure, essi, oggetti di contemplazione ... ; che le azioni puranche abbiano il fine orientato a conoscenza e il desiderio sia desiderio di conoscenza; che anche le generazioni traggano origine da una contemplazione e approdino ad una forma e a una nuova visione; che, in genere, ogni cosa, com'è un'immagine del suo creatore così pure crei, dal canto suo, visioni e forme; che tutto quanto passi all'esistenza - a imitazione di ciò che è - additi le cause creatrici come quelle che si danno per fine non già creazioni e neppure azioni di sorta, ma, invece, la semplice possibilità che ne sia contemplato il coronamento; che questa vogliano scorgere persino le meditazioni degli uomini e - prima ancora - le sensazioni (alle quali si è fine la conoscenza); che infine, ancor prima delle sensazioni stesse, la natura crei la visione che le giace nell'intimo insieme con la forza razionale, mentre porta a compimento una nuova forma razionale: tutto questo si poteva benissimo cogliere, senz'altro; ma il nostro discorso ne volle fare menzione in modo chiaro, se non erro. Poiché anche questo fu chiaro: la necessità, cioè, che essendo i primi esseri in stato di contemplazione, anche le altre cose vi aspirassero, se è vero, universalmente, che la finalità di un essere coincide con il suo principio. Così, ancora, negli esseri viventi: allorché essi generano, sono le forme razionali, dentro di loro, che urgono; si tratta, cioè, di attività contemplativa: è come un travaglio di parto nel creare molte forme e molte visioni, nel riempire tutto di forme razionali: interminata contemplazione! Creare, infatti, significa chiamar forme all'esistenza e ciò vuol dire riempire tutto di contemplazione. Persino le deficienze che si riscontrano, tanto nelle cose che nascono quanto nelle cose che si fanno, non sono altro che una deviazione dei contemplanti dall'oggetto della loro contemplazione ...

 

VIII. Così è, dunque, fin qui. Poiché ora la contemplazione ascende dalla Natura all'Anima e da questa allo Spirito; poiché si vari facendo via via sempre più intime le contemplazioni sino a fondersi addirittura nell'unità con i soggetti contemplanti; poiché, anzi, nell'anima che ha già raggiunto la saggezza, la materia del conoscere si volge già all'identità con il soggetto conoscente, quasi ansiosa di farsi spirito; è evidente ormai che in questo spirito entrambi - soggetto e oggetto - costituiranno un'unità non già nel senso di un'intima appropriazione - come nel caso dell'anima migliore - ma essenzialmente e proprio in virtù dell'identità tra l'essere e il pensare. Poiché qui neri c'è più differenza alcuna tra l'uno e l'altro: che se ci fosse, dovrà pur esserci, più in alto, alla sua volta, un'altra realtà che non comporti più differenza di sorta. Ed ecco quindi la necessità che entrambi siano, realmente, una cosa sola: ma ciò significa "contemplazione vivente", cioè una contemplazione il cui oggetto non sia qual è quello che esiste "in un altro". Infatti, nel caso che esso oggetto sia in un altro, allora è quell'altro il vivente, non è un "vivente in sé" Se dunque qualche cosa - oggetto di contemplazione o noema - dovrà aver vita, bisogna che essa sia "vita in sé", non vita vegetativa né sensitiva e neppure animata in una sua diversa guisa. Beninteso, pure in questa diversità, tali vite sono, in un certo senso, pensieri; ma, l'una è pensiero vegetativo; l'altra, sensitivo; l'altra, infine, è pensiero animato, in genere.

Ma com'è possibile che siano pensieri, queste vite? Gli è che esse sono "forme razionali". Anzi ogni vita è, in certo modo, pensiero; si tratta, però, di pensieri qual più, qual meno fosco, com'è, del resto, anche nella vita. Ben più chiara, naturalmente, è quella vita: quell'unità, cioè, in cui s'adunano, a un tempo, vita prima e primo spirito. Così, la prima vita è pensiero, senz'altro; la seconda vita è un secondo pensiero e l'ultima vita è ultimo pensiero.

Ogni vita, dunque, si appartiene a questo genere ed è un pensiero. Ma, forse, noi uomini riusciamo a dire, con facilità, le differenze tra vita e vita; non così, invece, se parliamo di pensiero, nel quale non riusciamo a cogliere la gradazione, paghi di dire, invece, che c'è, da un canto, "pensiero" e, dall'altro, "non-pensiero": gli è, in definitiva, che non sappiamo cercare qual sia propriamente la vita. Intanto, questo almen fia suggel che ancora, una volta di più, il ragionamento sta a provare che tutti gli esseri sono quasi un succedaneo di contemplazione.

Se, dunque, la vita al più alto grado veridica è vita soltanto in virtù di pensiero; se, inoltre, questa s'identifica col più veridico pensiero, vuol dire che il più veridico pensiero è una realtà vivente e che la contemplazione e il suo oggetto corrispondente stanno tra loro come "vivente" e "vita": e i due se ne stanno insieme come unità. Orbene, se i due sono un unico ente, come mai, d'altra parte, si fa multipla una tale unità? Ecco: perché non contempla una cosa sola. Vogliam dire, meglio, che anche quando contempla l'uno, non lo contempla come unità; altrimenti, non nascerebbe come Spirito. A dir vero, comincia come uno, ma non resta poi come cominciò ed ecco, anzi, che senza nemmeno accorgersene, quasi sonnacchioso, si fa molteplice e dispiega se stesso dacché vuol possedere ogni cosa - quanto meglio sarebbe stato non aver di tali brame! e, infatti, egli divenne secondo! somigliando, così, a un circolo, il quale, svolto che sia, è bell'e divenuto figura e superficie e periferia e centro e raggi: elementi che stanno, alcuni, in alto, altri in basso; il meglio è il "donde", il peggio è il "dove". Difatti, il "donde" non è tale e quale il "donde" più il "dove"; né, per converso, il "donde" più il "dove" è quale il "donde" preso isolatamente.

In altri termini, lo Spirito non è solo intelligenza di un'unica cosa, quale che sia, ma è anche intelligenza universale: universale, vale a dire che è anche intelligenza di tutte le cose.

Ora, se esso è intelligenza universale e intelligenza di tutte le cose, è necessario che anche la sua parte possegga tutto e tutte le cose; altrimenti esso avrà una qualche parte che non sarà intelligenza; consterà di "non-intelligenze"; sarà un qualche coacervo accozzato insieme, in attesa di divenire Spirito dall'adunarsi di tutte le cose.

Pertanto, Egli è anche infinito; e a tal segno che se vi è qualche cosa che ne derivi, non viene a diminuirsi né il derivato perché esso pure è tutte le cose - né Egli stesso - fonte di tal derivazione - perché non è un composto di parti.

Il solstizio d'inverno segna un momento importante e significativo nella " sadhana realizzativa ". Con esso inizia un nuovo ciclo solare e sarebbe, quindi, opportuno approfittare di questo periodo per porre, dopo una sintesi coscienziale, alcuni " semi " di meditazione da portare, durante l'anno, a fruizione realizzativa.

Possa l'Influsso di Gaudapada e Samkaracarya penetrare nella nostra coscienza.

 

 

 


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