«Rendo onore al sadguru Govinda la cui natura è suprema beatitudine, il quale si rivela mediante l’insegnamento vedantico che è di là dal linguaggio e dalla percezione mentale» (Vivekacudamani: 1).
«M’inchino a quell’Uno che è il migliore fra gli uomini, il quale, per mezzo della sua conoscenza, simile all’etere, che non differisce dall’oggetto del conoscere, ha realizzato i dharma, paragonabili al cielo (infinito)» (Māndukyakarika: IV, 1).
Diciamo spesso di rivolgere un ringraziamento ai Maestri, alla Grande Vita. Perché ringraziamo? Ringraziamo per i moltissimi doni che abbiamo ricevuto e che tuttora riceviamo.
Un ringraziamento è frutto di un riconoscimento. Non possiamo non essere consapevoli dell’immensa fortuna che ci è capitata venendo in contatto con un Insegnamento, per aver incontrato un Maestro. Quando abbiamo incontrato il Maestro la nostra anima lo ha subito riconosciuto e, anche se la nostra individualità voleva forse fuggire, essa ci ha inchiodato. Pervenire, però, alla totale consapevolezza della Grazia ricevuta può aver richiesto del tempo – e ciò era inevitabile – ma ora che sappiamo, il nostro cuore non può non gioire. Da esso si eleva un inno che è una vibrazione di Gioia.
Questa vibrazione ci innalza e ci porta a intravedere un mondo fatto di Bellezza; questa vibrazione fa sì che possiamo entrare in sintonia con i Maestri e con la Grande Vita. Un ringraziamento è un’evocazione che ci mette in contatto con il mondo degli Dèi. Questo ringraziamento dovrebbe essere costante e accompagnarci lungo l’intera giornata.
Noi che viviamo nel mondo vediamo quale annebbiamento ci sia negli esseri umani e quanta sofferenza, non solo per mancanza delle cose essenziali per mantenere in vita il corpo grossolano, ma sofferenze più sottili che nascono da uno smarrimento totale.
La vita umana è una lotta senza senso nel buio più tetro, senza conoscere neppure il perché di questa lotta. Non comprendendo il significato reale del nostro vivere, ce ne creiamo degli illusori; costruiamo e proiettiamo motivazioni del tutto aliene dalla verità. È in questo cercare affannosamente uno scopo che l’essere umano sprofonda sempre più nelle sabbie mobili perdendo ogni speranza di salvezza; per dimenticare tutto questo, egli si crea delle proprie filosofie di vita che non gli danno però una vera spiegazione, non gli donano una totale soluzione che possa portarlo alla Liberazione.
L’uomo che non sa è come l’uomo di Platone rinchiuso in una caverna dove non arriva luce e dove percepisce solo ombre. In questo uomo deve nascere l’aspirazione al cambiamento, a voler modificare questa condizione; in lui deve avvenire un risveglio che lo sospinga a uscire dalla sua prigione e venir fuori alla luce, per vedere in modo diretto ciò che lo circonda, a vedere con i propri occhi la Bellezza di una possibilità nuova dove troverà anche i mezzi per risolvere la sua schiavitù.
Questo è ciò che avviene a un discepolo. Uscire allo scoperto significa seguire le parole di Gesù: «Bussa e ti sarà aperto, chiedi e ti sarà dato». Il discepolo deve rendersi attivo e quando è pronto incontra il Maestro. Questo Incontro è per il discepolo l’inizio di un nuovo giorno, la rivoluzione benedetta di una nuova vita. È il momento tanto atteso di un’anima che fino allora si muoveva nel sottobosco, nelle tenebre, alla ricerca disperata di un po’ di luce e conforto. È il momento più bello per un’anima, esso rappresenta l’inizio di un risveglio, l’inizio del suo ritorno a Casa.
La strada del ritorno – lo sappiamo – è tutta in salita, almeno fino a un certo punto, ma per quante difficoltà possano esserci, l’anima deve benedire ogni piccolo passo che fa rivolgendo, appunto, un ringraziamento ai suoi Maestri, alla Grande Vita. All’inizio può anche non esserci alcuna forma di ringraziamento; l’anima, pur ricevendo nuova luce e alimento, è ancora instabile e procede insicura e traballante come un bimbo che fa i suoi primi passi. In questi primi momenti è l’individualità che si appropria di quello che può apparire per lei una nuova occasione di vita, addirittura migliore. In questa condizione l’anima è come se fosse "irrigidita": non sapendosi reggere da sola fa affidamento sul "vecchio", su ciò che le è noto. L’individualità però l’imprigiona e non le consente di esprimere se stessa. L’anima non si è ancora svegliata del tutto; in essa non è ancora avvenuta la scoperta – che deve poi diventare totale consapevolezza – di essere un riflesso di quella scintilla divina, per cui anch’essa è sat-cit-ānanda, che equivale a essere esistenza senza dipendere da nulla, conoscenza della propria essenza e gioia di essere Quello.
Questa conoscenza-consapevolezza per il momento è intermittente: solo a tratti l’anima esprime questa acquisita libertà; la gioia che la porta a innalzare l’inno di ringraziamento per essersi liberata dai ceppi dell’ignoranza non è continua proprio perché non è continua la consapevolezza della sua realtà.
Quando però l’anima conquista questa posizione e vi si ferma, le si aprono delle nuove possibilità fino allora sconosciute; diventa abile nell’azione e sa avvalersi di quegli strumenti di cui è dotata per proseguire sulla sua strada. Ora, questa non è più in salita e accidentata; quello stretto sentiero è diventato un ampio viale tutto colori, profumi e suoni soavi. Questo suo proseguire lungo la strada non è più una lotta per fare un piccolo passo o per conquistare una certa posizione, è invece un avanzare da fermi, come se non fosse più lei a muovere i suoi passi, ma fosse attratta da una forza traente, bella e luminosa. Questo suo essere sul sentiero è di già gioia, e questa gioia si esprime in un canto beato e silenzioso di ringraziamento.
«...Benedetti sono coloro che tu hai illuminato con uno dei tuoi sguardi, accogliendoli sotto la tua protezione».
«Il discepolo, avendo ascoltato le parole del Maestro e mosso da un sentimento di venerazione, si prosternò ai suoi piedi e poi, con il suo permesso, liberato ormai dalla schiavitù, si allontanò per la sua strada» (Vivekacudamani: 39 e 576).
Il solstizio d’Inverno segna un momento importante e significativo nella sādhanā realizzativa. Con esso inizia un nuovo ciclo solare e sarebbe quindi opportuno approfittare di questo periodo per porre, dopo una sintesi coscienziale, alcuni "semi" di meditazione da portare, durante l’anno, a fruizione realizzativa.
Possa l’Influsso di Gaudapāda e Shankaracārya
penetrare nella nostra coscienza.
Periodico Mensile - Dir. Resp. Paola Melis
Redazione: Via Azone 20, 00165 Roma - Tel&Fax 06 6628868
Copyright © 1997-2008 Vidya. Tutti i diritti sono riservati.